Pellegrinaggio

No, non siamo spariti, siamo andati in pellegrinaggio. Per le montagne boscose della penisola di Kii, a sud di Kyoto, luogo magico nel quale affondano – ci dicono – le radici stesse del Giappone ancestrale, dove il mitico primo imperatore si rifugiò dopo un primo tentativo di imporsi e da dove riuscì ad uscire e a sconfiggere gli avversari guidato da un corvo a tre zampe (ora logo onnipresente e “scudetto” della nazionale di calcio nipponica).

È il Kumano Kodo, un intreccio di sentieri che cuciono montagne boscose e dirupi, incrociando di tanto in tanto un villaggio, consentendo al pellegrino e al semplice viandante di visitare luoghi e santuari – alcuni semplici altarini con figurine di pietra – legati a divinità naturali, spiriti dei luoghi e delle cose a un certo punto “buddizzati”. Il Kumano Kodo da qualche anno si è, per così dire, gemellato con il Cammino di Santiago e chi li fa tutti e due è riconosciuto come “dual pilgrim”

Silvia e Mario lo sarebbero, dunque, avendo percorso i 312 km da Leon a Santiago 12 anni orsono e i 35 che vanno da Tanabe – sulla costa – al grande santuario di Hongu — peccato non si fossero registrati e non abbiano quindi potuto certificare il passaggio davanti a ogni altarino e santuario disperso nei boschi (ci sono delle cassette di legno con sportellino e dentro c’è il timbro) e quindi farsi riconoscere dal Grande sacerdote di Hongu. Ma loro si considerano “dual” di fatto.

Il sentiero si inerpica per una serie di colline e scende per le susseguenti valli, per poi tornare a salire, a scendere e così via (non senza qualche rimostranza da parte della nostra “dual”) tra boschi di cipressi, qualche bambù e persino qualche palma. Entrare in questo percorso – ci dicono – equivaleva a un viaggio nelle zone della morte, per purificarsi e rinascere a nuova vita, risanati nello spirito e magari anche nel corpo (vicino a una taverna ora deserta c’è la statuetta di una divinità particolarmente dedita alla cura del mal di schiena).


A Tanabe abbiamo dormito in una locanda – proprio una locanda, con una birreria al pianterreno e due camere sopra. Poi ci siamo inerpicati e siamo discesi per molte, molte ore, tra boschi, altarini, tempietti e l’occasionale vista d’insieme, per finire nella casa di una sorridente giovane coppia che ha lasciato Tokyo e ha deciso di venire a vivere in mezzo ai monti, offendo ospitalità a casa loro, molto orgogliosi di aver percorso essi stessi l’anno scorso l’ultimo pezzo del Cammino di Santiago. Ne hanno, infatti, appesi alla parete i ricordi: la conchiglia, il bastone del pellegrino, la compostela.


Il giorno dopo ancora boschi e ancora salite e discese, ma con il conforto del “cestino” preparato dalla sorridente signora (due palle di riso con saporetti e una bottiglia di tè verde), qui sotto consumato da Figlio 2


Poi, in un ruscello nel quale per secoli i pellegrini facevano il bagno e compivano i riti di purificazione in acqua fredda, anche Figlio 1 ha deciso di fare la prova.


Il percorso è accompagnato dall’insistente e a volte assordante canto delle cicale, che qui sembra veramente un canto e non un semplice frinire — cicala della quale abbiamo una diapositiva presa sul pannello di entrata della casa dove abbiamo trascorso la notte…

Cliccando su questo link dovreste poterle ascoltare anche voi:

Cicale

Di quando in quando, prevalentemente verso la fine del nostro percorso, si incontrano piccoli villaggi, con orti poderosi e piccole coltivazioni di tè. Qualcuno, al mattino, mette a stendere i futon sul tetto per fargli prendere aria.


Alla fine al tempio ci siamo arrivati, ma era proibito fare fotografie all’interno. C’erano banchi di souvenirs che vendevano amuleti per molte cose. Un ufficio dove si andava a iscriversi per quella che sembrava una cerimonia di benedizione e decine di persone in ordinata fila per rendere il dovuto culto al santuario.

Noi abbiamo concluso la giornata in un ryokan, albergo giapponese dotato di bagno comune, in una zona di sorgenti solforose poco lontano. Nella parte pubblica anche un “cooking basin”, una vasca-pentolone comunitario dove la gente immerge ad esempio sacchetti di uova per cuocerle.


Ora siamo a Kyoto, dopo un giro paradossale che ci ha fatto fare tanta provincia prima delle metropoli classiche (a parte il primo giorno a Tokyo). Ci siamo arrivati    con l’ennesimo treno da una piccola stazione che sul marciapiede aveva dipinto con accuratezza la corsia lungo la quale mettersi in fila per accedere alla carrozza.  Compreso il disegnino del verso dei piedi.


Buon Ferragosto!